Il 27 gennaio si celebra la Giornata della Memoria, in ricordo della liberazione di Auschwitz, i cui cancelli si aprirono il 27 gennaio del 1945:da quel momento il mondo, seppe con certezza quello che era accaduto nei campi di concentramento.
Vi proponiamo la recensione di uno dei tanti libri dedicati all'Olocausto.
Eva Schloss, Sopravvissuta Ad Auschwitz.
Eva Geiringer, ebrea austriaca, nacque nel 1929, secondogenita di una famiglia benestante ed ebbe un’infanzia felice e tranquilla, finché le leggi razziali non la resero apolide, costretta a spostarsi e nascondersi, a portare una stella gialla sui vestiti; infine, il giorno del suo quindicesimo compleanno, Eva venne tradita e deportata. Per lei, dal maggio 1944, al gennaio 1945, ci fu Auschwitz, con il suo carico di orrore, dolore, paura e violenza cieca che conosciamo dai libri, dalle testimonianze, dai processi, ma che ogni volta ci colpisce in pieno volto, come se ne sentissimo parlare per la prima volta. Di Auschwitz Eva non ha parlato per anni, nascondendo il ricordo e il dolore, ma poi ha iniziato a raccontare, raccontare e raccontare. Perché dell’Olocausto bisogna parlare, bisogna che la gente sappia. Nel suo libro “Sopravvissuta ad Auschwitz” Eva non risparmia dettagli raccapriccianti, che dimostrano ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) quanto l’essere umano possa cadere in basso, quanto possa perdere la sua “umanità“. La storia di Eva Geiringer, che dopo essersi sposata ha preso il cognome Schloss, si intreccia strettamente con quella di un’altra ragazzina, sua coetanea, innocente vittima della violenza umana: Anna Frank, anche lei costretta a nascondersi, anche lei tradita e deportata, rinchiusa in un campo di concentramento dal quale non uscì viva (la piccola Anna morì nel 1945 a Berger Belsen, dopo la madre Edith e la sorella Margot). Eva e Anna si conobbero ad Amsterdam, intrecciarono una breve amicizia e poi furono separate. Il destino, però, non la separò da Otto, il padre di Anna. Tornato solo dal campo di concentramento, Otto instaurò un rapporto affettuoso con Eva e la madre, Fritzi (Mutti), che ad Auschwitz aveva perso il marito e il figlio maggiore, Heinz. Il rapporto tra Otto e Mutti passò dall’amicizia all’amore: i due, uniti dal comune tragico passato e desiderosi di tramandare il ricordo di ciò che era stato attraverso il “Diario” di Anna, si sposarono; Otto fu un affettuoso patrigno per Eva e un nonno felice delle sue tre bambine.
Eva ce l’ha fatta, oggi è mamma e nonna felice, ha girato il mondo raccontando la sua storia e quella di Anna Frank, a cui la vita ha riservato un destino diverso. Eva (assieme alla madre Mutti) non ha mai dimenticato l’inferno di Auschwitz, che ha condizionato tutta la sua vita, però, come dice lei, ce l’ha fatta perché doveva farcela. Anche in mezzo all’orrore, anche quando fu separata dalla sua famiglia, anche quando credette di morire, non s’è mai lasciata abbattere. Ha superato la malattia, la depressione, s’è costruita una vita, un lavoro, ha parlato centinaia di volte in pubblico, ha incontrato studenti, carcerati, ex deportati, per portare il suo messaggio anti-odio, anti-discriminazione, anti-violenza. Ha risposto a un numero incalcolabile di domande.
Ma -dice lei in chiusura del libro- a una non ha saputo rispondere. E’ la domanda di una ragazza somala: “Pensa che succederà di nuovo?”. Eva lascia la risposta ai lettori.
(Recensione: Claudia Bertanza)