Radio Il Discobolo, con la nuova settimana di programmazione, vi aspetta con una nuova trasmissione, "Un secolo fa... Storie e personaggi del Novecento", tratta da Incontri, a cura di Dina Luce: una serie di interviste a personaggi del Novecento... cantanti, musicisti, attori e attrici...
Il primo personaggio è Carlo Dapporto (1911-1989), che iniziò la carriera prima come cabarettista e intrattenitore ad Alassio (dove era andato a lavorare come cameriere), poi nella sua città natale, Sanremo, come barzellettiere.
Dalla Liguria si trasferì a Milano, poi a Riccione dove divenne un volto noto dell'avanspettacolo, assieme a Carlo Campanini (assieme al quale mise in scena l'imitazione di Stanlio e Ollio).
Infine, arrivarono televisione e cinema. La sua ultima interpretazione risale al 1987, nel film "La famiglia" di Ettore Scola, dove recita accanto a Vittorio Gassman e al figlio Massimo, che ha seguito le sue orme.
Un secolo fa... Storie e personaggi del Novecento andrà in onda:
- lunedì 2 alle 10
- martedì 3 alle 18
- sabato 7 alle 21:00
Angela Alecci, in arte Luciana Dolliver, nasce a Catania il 12 Aprile del 1910 e debutta giovanissima come ballerina e cantante dialettale.
Nel 1939 comincia a cantare alla radio con l'orchestra di Pippo Barzizza per poi passare a quella diretta da Cinico Angelini ed ancora in quelle di Petralia, Segurini, Semprini e Ferrari.
Divenuta popolarissima allo scoppio della guerra segue le truppe al fronte portando la sua voce di impostazione lirica in Albania, Grecia, Jugoslavia e Montenero.
Dopo il 1945 torna alla radio dove conosce una seconda giovinezza.
Nel 1953, ormai offuscata dalle nuove stelle del firmamento musicale, perde la voce in un grave incidente tranviario per il quale verrà risarcita con la bella somma di 40 milioni di lire.
Morirà nel 1982 a Roma, ormai ingiustamente dimenticata dalla critica.
Alla Dolliver, che per le sue qualità interpretative e la grande tecnica vocale è stata sicuramente una delle cantanti italiane più importanti e raffinate di quel periodo, è dedicata questa settimana la trasmissione Mille canzoni portate dal vento... condotta dal critico musicale Enzo Giannelli e da Roberto Berlini.
La nuova settimana di Radio Il Discobolo inizia domani, domenica 1° novembre. Tra gli appuntamenti, oggi vogliamo presentarvi il Gran Galà, condotto da Simone Calomino, che questa settimana è dedicato a Isa Barzizza.
Potete ascoltarlo:
-domani alle 18:00
- venerdì 6 alle 14:30
Isa Barzizza (tratta da ildiscobolo.net)
Figlia del direttore d'orchestra Pippo Barzizza, Isa ha iniziato giovanissima la carriera teatrale, prendendo parte ad alcuni spettacoli di prosa con Ruggero Ruggeri, Elsa Merlini ed Eduardo De Filippo. Il vero grande lancio nel mondo del teatro le fu dato da Erminio Macario che a diciassette anni la volle in due sue riviste: "Le educande di San Babila" (1947) e "Follie di Amleto" (1947-48).
Inizialmente il padre è contrario alla sua decisione di intraprendere la carriera artistica, ma si lascia convincere, a patto che la ragazza si faccia seguire da una governante.
Carina, col suo corpo splendido e la sua delicata ironia, la Barzizza divenne presto la beniamina del teatro leggero del dopoguerra italiano.
L'altro suo “padrino” teatrale, dopo Macario, fu Totò, cui fece da partner anche nel cinema, e con cui recitò in teatro in "C'era una volta il mondo" (1947-48) di Michele Galdieri accanto ad Elena Giusti e in "Bada che ti mangio" (1948-49) accanto a Mario Riva e Diana Dei.
Totò le insegnò i tempi comici, il contatto col pubblico, come muoversi sul palcoscenico, insomma tutti i segreti del mestiere.
Nella rivista Bada che ti mangio la Barzizza e Totò erano i protagonisti dell'indimenticabile sketch del “vagone letto” (che concludeva anche il film "Totò a colori" del 1952. L'attrice ricordò che la prima volta che venne rappresentato questo sketch durava sette minuti mentre, solo dopo alcuni mesi di tournée, le esilaranti improvvisazioni del comico napoletano lo avevano portato a durare ben cinquanta minuti.
Presto la Barzizza si affermò anche sullo schermo.
Interpretò infatti oltre trenta film, il primo dei quali fu "I due orfanelli"(1947) di Mario Mattoli, spesso al fianco dei comici di rivista che l'avevano lanciata sulla passerella (Totò, Macario, Carlo Dapporto), ma non c'è stato alcun titolo che la metta in evidenza, meno in "Gran varietà" (1953), dove canta un blues con un vestito nero di raso con lo spacco.
Nella stagione 1951-52 venne scoperta da Garinei e Giovannini che esaltarono la sua grande bellezza e il suo spigliato senso dell'umorismo nella rivista "Gran baldoria", grandissimo successo che portava le bellissime musiche di Gorni Kramer.
Negli stessi anni affrontò anche il teatro di prosa recitando lo Shakespeare di "Le dodicesima notte" diretta da Renato Castellani e apparendo poi spesso nel teatro brillante allestito per la TV.
Il 3 gennaio 1954, giorno d'inizio dei programmi ufficiali della televisione italiana, la RAI trasmise l'atto unico di Carlo Goldoni "Osteria della posta", che vedeva la Barzizza protagonista.
Nel 1955-56 ha interpretato la commedia musicale "Valentina", di Marchesi e Metz, con Isa Pola, Enrico Viarisio e Franco Scandurra, storia d'amore di due fidanzati che fanno un salto in avanti nel tempo.
Nel 1957 l'attrice lasciò il teatro per motivi familiari.
Attorno agli anni '60 fondò la Citiemme, una società di doppiaggio, dedicandosi a questa attività sia come imprenditrice sia come direzione artistica.
Tornò a teatro nei primi anni '90, interpretando numerose commedie, tra le quali ricordiamo "La pulce nell'orecchio" di George Feydeau con la regia di Gigi Proietti, "Arsenico e vecchi merletti" di Joseph Otto Kesserling con la regia di Mario Monicelli, "Gigi di Sidonie-Gabrielle Colette" per la regia di Filippo Crivelli.
Nell'estate del 1995 ha partecipato al Festival di Spoleto con L'ultimo yankee di Arthur Miller, con la regia di John Crowther.
Nel 1999 accanto alla grandissima Lauretta Masiero è stata sublime ne "Le sorelle Materassi" di Aldo Palazzeschi, confermando come sempre il suo grande stile e la sua inconfondibile bravura.
In anteprima per voi, amiche e amici del Discobolo, ecco il palinsesto della prossima settimana. Da domenica 1 a sabato 7 novembre vi aspettano tanti interessanti appuntamenti, sia con la musica che con la storia.
Si parlerà del mitico maestro Manzi, di Camilla Cederna e dell'alluvione di Firenze, di cui il 4 novembre ricorre il 49°anniversario.
E poi, ovviamente, i classici appuntamenti: "Dal fonografo al microsolco", "Mille canzoni portate dal vento...", "Cara Radio..." con le vostre richieste, i tenori e la canzone napoletana...
Insomma, un palinsesto da non perdere!
Al seguente link potete curiosare e individuare la trasmissione che fa per voi: www.ildiscobolo.net e continuate a seguirci... sulla radio e sul blog.
Il 31 ottobre 1926 Anteo Zamboni, un giovane anarchico bolognese, morì a soli 15 anni, ucciso dalle guardie fasciste, dopo aver tentato di uccidere il Duce.
Quel giorno Mussolini si trovava a Bologna: si era recato nella città emiliana il giorno prima, per inaugurare lo Stadio Littoriale. Dopo le celebrazioni, Mussolini era su un'automobile scoperta diretta verso la stazione. Il giovane Zamboni aspettava il cortei appostato tra la folla: sparò contro Mussolini, mancandolo.
Gli squadristi si gettarono su Zamboni e lo linciarono.
Non sono ancora stati chiariti i motivi del gesto di Zamboni: la memoria collettiva lo ricorda come giovane anarchico, proveniente da famiglia di anarchici, anche se (come già da tempo suo padre Mammolo) era da tutti considerato un simpatizzante del regime.
Il papa Pio XI condannò l'attentato definendolo come: "criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento".
Dell'attentato a Mussolini si parlerà domani, 89° anniversario, su Radio Il Discobolo, alle 11:30, nel corso dello speciale Wikiradio Oggi.
Domani, venerdì 30, alle ore 10 C. Loffredo condurrà "Toh chi si risente", trasmissione dedicata al Trio Lescano.
Le sorelle Lescano (Sandra, Caterinetta e Giuditta), cognome italianizzato di Le-Chan, nacquero in Olanda, da artisti circensi e arrivarono in Italia come ballerine acrobatiche, scoprendo poi di avere grosso talento per la musica. La loro fu una carriera intensa, ma breve (dal 1936 al 1943), interrotta dai tragici fatti della Seconda Guerra Mondiale
Alla fine del conflitto le tre sorelle provarono a tornare sulla cresta dell'onda: al posto di Caterinetta entra nel gruppo la ventunenne Maria Bria, ma il successo, almeno nel nostro Paese, ormai appartiene al passato e le Lescano iniziarono a esibirsi in Sud America, ma anche questa seconda carriera dura poco.
Maria Bria, la "quarta sorella Lescano", è ancora in vita (ha 90 anni) .
Il 29 ottobre del 1950 nasceva a Crotone Rino Gaetano, geniale cantastorie della musica italiana, tragicamente morto il 2 giugno del 1981.
Lo ricordiamo con questo articolo scritto da Fabrizio Bordone e pubblicato su www.laspeziaoggi.it.
Il nonsense che aveva un senso: Rino Gaetano
Controcorrente sempre e comunque, dissacrante verso tutto e tutti senza curarsi delle conseguenze, coerente fino alla precoce fine, questo era Rino Gaetano. Un cantastorie atipico e, a suo modo, geniale, sicuramente originale e volutamente stravagante. Uno spirito libero e pungente, “alieno ad ogni compromesso” come citava in uno dei suoi brani più famosi, Nuntereggaepiù. Un pezzo lunghissimo ed emblematico, dove elencava, impietosamente, i personaggi più in vista dello spettacolo, dello sport, della politica, della società e dell’industria. Uno scioglilingua pirotecnico con un titolo adattato in un gioco di parole, al genere musicale che stava emergendo in quel periodo, il reggae. Unico in quei tempi a permettersi di sbeffeggiare un leader amato e rispettato anche dagli avversari come Enrico Berlinguer, imitandone l’accento sardo. E non risparmiava la Famiglia Agnelli, i potenti di sempre, i padroni del capitalismo italiano. Eppure, ospite del Costanzo Show, conduttore a sua volta citato nel brano (era già onnipresente…) fu gratificato dalla Senatrice Susanna con parole di ammirazione. Calabrese di nascita, adottato da Roma, mosse i primi passi nel Folkstudio dove conobbe Venditti e De Gregori. Da subito, il suo atteggiamento fu oggetto di discussioni, Rino non aveva preso posizione politicamente e questo, per quegli anni, significava una sorta di ostracismo, di emarginazione. Agli inizi si dedicò soprattutto al cabaret e ad alcune apparizioni teatrali e nel contempo si diplomò in ragioneria. Il primo vero 45 giri conteneva un brano che già fu soggetto ad interpretazioni, “I love you Maryanna”, alcuni la vedevano come una strampalata canzone d’amore, altri come un’esaltazione della celebre erba, celata nel nome.
Rino Gaetano non aveva una bella voce, era roca, aggressiva, sgraziata, lui stesso agli inizi insisteva con i discografici per far cantare i propri brani a qualcun altro, in seguito si rivelò come un marchio di fabbrica. Dopo aver scritto alcune canzoni per altri artisti e dopo una sfortunata apparizione a Canzonissima, venne il primo successo con “Ma il cielo è sempre più blu”. Si trattava di un lungo brano, diviso su due facciate, dove Rino parlava del disagio sociale, della quotidianità e di tematiche individuali con il suo stile diretto ed asciutto: “chi suda il salario…chi odia i terroni…chi sogna i milioni…chi è morto d’invidia o di gelosia…” e via discorrendo. All’epoca, questo brano permise a Gaetano di farsi conoscere da un pubblico più vasto, ma fu solo ben dopo la sua morte che divenne la sua canzone simbolo per antonomasia.
Per la critica, il suo genere musicale era definito “nonsense”, termine inappropriato, dovuto più al modo di porsi, di cantare ed al look caratterizzato dal cappello a tuba che non per il significato dei testi, vieppiù evidenti. Sull’onda dei primi consensi, esce il secondo album, “Mio fratello è figlio unico”, altro geniale esempio dell’acutezza del cantautore calabrese. Nel pezzo omonimo, anche questo molto lungo, si parla di solitudine ed emarginazione con la consueta amara ironia già insita nel titolo: “mio fratello è figlio unico perché è convinto che Chinaglia non può passare al Frosinone…mio fratello è figlio unico deriso, declassato, frustrato, dimagrito…”. Il terzo album, Aida, contiene il brano omonimo, musicalmente il più riuscito, forse la canzone più bella nel senso classico del termine: “Lei sfogliava i suoi ricordi, le sue istantanee, i suoi tabù. Le sue madonne, i suoi rosari e mille mari e alalà…”. Questo brano è un excursus dell’Italia dal fascismo agli anni ’70, usando come metafora la celebre opera di Verdi, altro capolavoro di genialità di Rino. Il successo definitivo giunse con la partecipazione a Sanremo con il brano “Gianna”, poco amato dallo stesso Gaetano perché da lui ritenuto troppo commerciale, eppure il risultato fu clamoroso, un inaspettato terzo posto ed ora tutti conoscevano Rino Gaetano. Oltretutto, fu la prima volta che sull’istituzionale palco dell’Ariston, venne pronunciata la parola “sesso”, presente nel testo, fu una svolta epocale.
La già citata Nuntereggaepiù arrivò subito dopo attirandosi gli strali della censura da parte della Rai. In origine, nel brano, veniva nominato anche Aldo Moro, il suo nome fu rimosso dopo i noti tragici fatti che lo videro coinvolto. Il ribelle, ma coerente Rino, abbandonò una manifestazione dove gli fu impedito di cantare questa canzone, in un’altra occasione rifiutò il playback fumando una sigaretta per tutta la durata del brano. Dopo il successo di Gianna entrò in crisi compositiva, scrisse altre canzoni ad oggi poco ricordate e arriviamo al fatale 1981. Ai primi dell’anno rimase illeso dopo un pauroso incidente stradale ma la sorte non lo risparmiò pochi mesi dopo, a giugno quando, a soli trent’anni, schiantò la sua macchina contro un camion. L’amico Venditti parlò di troppa cocaina che girava nell’ambiente e si prese una querela dai familiari di Rino. Venne ricoverato e respinto da vari ospedali prima di spirare ed un suo brano di dieci anni prima, narra di un giovane morto nelle stesse circostanze, citando due dei tre degli ospedali che in effetti non lo accettarono, una premonizione da pelle d’oca.
Come i grandi artisti, Rino Gaetano è stato rivalutato dopo la scomparsa e ci piace immaginarlo, con il suo sorriso beffardo e con il cappello a tuba, in quel “cielo sempre più blu…”.
Per fuggire dal bar gestito dai genitori, inizia ad esibirsi come canzonettista in feste ed intrattenimenti ricreativi nella sua città natale.
La sua carriera professionale comincia nel 1939, con la formazione di un complesso da lei diretto, nel quale lavora come pianista e successivamente come batterista che si esibisce fino al 1942 quando la guerra lo costringe a sciogliersi.
In questo periodo la giovane Tati studia canto con un maestro della casa discografica "La Voce del Padrone".
Nel 1944 viene ingaggiata dal maestro Carlo Zeme per un impiego alla radio, dove lavora fino al 1949.
Dal 1947 alla fine della carriera collabora anche con la Radio Televisione Svizzera.
Tra il 1949 ed il 1950 prende parte a varie tournèe in America Latina ed è ospite delle maggiori emittenti radiofoniche, dove esegue i suoi maggiori successi, come
Il valzer delle candele,
Ba-ba-dù,
Stornello del marinaro.
Ha inciso per la Cetra,la Columbia e Telefunken.
Al ritorno in Europa esporta con enorme successo la Samba Brasiliana.
Gli ultimi anni della sua vita li ha trascorsi in una casa di riposo di Lugano.
Non solo musica su Radio Il Discobolo, ma cultura a tutto tondo. Domani, giovedì 29, alle ore 11:30 andrà in onda uno speciale Wikiradio Oggi dedicato al Mago Houdini.
Harry Houdini (vero nome Ehric Weisz) nacque a Budapest nel 1874 ed è ricordato ancora oggi, a quasi 90 anni dalla morte, come uno dei più grandi illusionisti ed escapologi della storia, reso celebre dalle sue fughe impossibili.
Trasferitosi a soli 4 anni negli Stati Uniti, Houdini divenne a 17 anni un illusionista, ma il successo non arrivò immediatamente: fu l'escapologia a dargli la fama e, nel 1913, divenne legalmente Harry Houdini (in omaggio al mago francese Jean Eugene-Robert Houdin).
Nei primi anni del secolo Houdini conquistò il pubblico di tutto il mondo liberandosi da catene, corde, lucchetti e, nel 1913, propose il suo trucco più famoso: quello in cui rimaneva sospeso a testa in giù in una vasca piena d'acqua chiusa a chiave. Negli anni Venti svelò alcuni dei suoi trucchi. Rimane tuttavia il fascino legato alle sue indubbie capacità di fare spettacolo.
Harry Houdini morì nel 1926, a soli 52 anni, a causa di una peritonite: ma negli ultimi anni qualcuno ha messo in dubbio questa versione, attribuendo la scomparsa del grande illusionista all'avvelenamento, forse ad opera di seguaci dello spiritismo, pratica contro la quale Houdini si era apertamente schierato.
Al suo funerale parteciparono oltre 2000 persone: il suo mito vive ancora oggi, perché ogni anno si continua a tenere una cerimonia nell'anniversario della sua morte.
Chi è appassionato di musica e della sua storia, ama con ogni probabilità anche i tenori e la musica napoletana. E Radio Il Discobolo ogni giorno accontenta tutti questi appassionati. Per i mattinieri, ogni mattina alle 7 va in onda "Tenori che passione! Le più belle voci di sempre", mentre chi ama la canzone napoletana si può sintonizzare ogni pomeriggio (sabato escluso) alle 17:45 con la trasmissione "Cantanapoli. I grandi classici e non solo...".
Su Radio Il Discobolo oggi, martedì 27 alle 16:30, speciale "Canta... Teddy Reno": 30 minuti in compagnia delle canzoni di Ferruccio Merk Ricordi (questo il suo vero nome), colui che Vittorio Sgarbi, un po' scherzando un po' no, definisce "un lembo di storia patria".
Teddy Reno è effettivamente un pezzo di storia: cantante, produttore e anche attore (era il famoso studente che studia nel mitico Totò, Peppino e... la malafemmina), ha inciso un disco lo scorso anno (alla tenera età di 88 anni), in occasione del settantennale della sua carriera.
Quali canzoni si ascoltavano nel 1958? E quali erano le più famose e ascoltate del mese di ottobre? Su Radio Il Discobolo potete scoprirlo, nel corso del programma "Speciale classifiche. Ottobre 1958", a cura di Guido Racca e Massimo Baldino.
Stasera, 26 ottobre alle 21 e in replica sabato 31 alle 14:30.
Martedì 27 alle ore 14:30 andrà in onda "Speciale Wikiradio". Il protagonista della puntata sarà il "Signor G.", il grande Giorgio Gaber.
Giorgio Gaber: il signor G. e la libertà
La cosa bella, parlando di artisti italiani, è il fatto che possiamo trovare una vasta varietà di personaggi a loro modo unici e speciali. Il genio italico non è acqua, non è un luogo comune, sembra quasi che un filo invisibile leghi le nostre eccellenze dei tempi remoti al tempo attuale. Giorgio Gaberscik, in arte Gaber, è stato uno dei più profondi, incisivi ed originali artisti a 360°. Nessuno come lui ha analizzato, scavato, vivisezionato e messo alla berlina i vizi e le forme mentis dei nostri connazionali. Uno psicanalista lucido ed impietoso, capace di far riflettere mettendo a nudo la realtà, spiattellandola in faccia allo spettatore. Istrionico e coinvolgente, sempre in netto anticipo rispetto ai mutamenti della società civile, mai omologato alle mode del momento. Un’infanzia segnata da problemi di salute, prima a causa della poliomielite e poi per un grave infortunio ad un braccio con conseguente paralisi della mano. Fortuna volle che per la rieducazione iniziò a suonare la chitarra ed oltre a recuperare fisicamente, ciò diede l’input per la sua carriera. Si avvicina al rock and roll e al jazz non disdegnando intrusioni nel melodico come uno dei suoi primi successi, “Non arrossire”. Diventa un esponente di punta della “Scuola Milanese” con brani incentrati su personaggi e luoghi delle periferie (“La ballata del Cerutti”, “Porta Romana”, “Trani a go-go”). Geniale la canzone “Goganga” dove sbeffeggia la classe medica usando la sua mimica e la sua espressione stralunata. Dopo questo gruppo di successi, Gaber è una delle stelle del momento e le apparizioni televisive, nonché le conduzioni di programmi, non si contano. Partecipa persino al Festival della Canzone Napoletana con la famosa “’A pizza”, sopperendo allo scadente accento partenopeo con la sua innata verve sul palco. Tra i numerosi brani di successo, la splendida “Come è bella la città”, dove ironizza sulla frenesia del nuovo progresso e le popolarissime “Il Riccardo” e “Barbera e Champagne”. Nel frattempo, Gaber sposa la compagna di una vita, Ombretta Colli, ai tempi accesa femminista e molti anni dopo Presidente della Regione Lombardia e deputata del centro-destra.
Ideologicamente, Gaber nasce come simpatizzante di sinistra, in quegli anni artisti e cantanti lo erano quasi tutti, ma ben presto inizierà un suo percorso di forte critica e distacco dalla politica tradizionale. Ha sempre sostenuto, fino alla fine, che tutte le buone intenzioni sfociano nella massificazione, termine da lui molto utilizzato. Quando le persone diventano massificate deviano verso il proprio interesse particolare, abbandonando ideali e buoni propositi. Soprattutto nella seconda parte della sua carriera cantautorale, ripeterà questi concetti sotto varie forme. Tornando un passo indietro, Gaber inizia gli anni settanta lasciando il mondo dorato della TV per dedicarsi alla formula teatrale chiamata appunto “Teatro Canzone”. Il piccolo schermo gli aveva dato successo e notorietà ma gli stava stretto il fatto di non potersi esprimere liberamente, senza i lacciuoli della censura ed inoltre aveva guadagnato abbastanza per dedicarsi ad una nuova carriera meno vincolante. Ed è in teatro che Gaber dà vita al famoso Signor G, metafora dell’uomo comune con tutte le sue contraddizioni e debolezze, accompagnandone le gesta con canzoni e lunghi monologhi. Ormai la strada è tracciata, un percorso che subirà poche deviazioni ma le concessioni al vecchio amore, la canzone d’autore, saranno memorabili. Una di queste è “La libertà”: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione. La libertà non è uno spazio libero, la libertà è partecipazione”. Questo brano, dal testo importante, è diventato il manifesto postumo di Giorgio Gaber, un messaggio che è arrivato attraversando alcune generazioni. Ai tempi, il rapporto con il pubblico fu in parte compromesso per le sempre maggiori prese di distanza di Gaber nei confronti dei militanti politici, prese di distanza che sfociarono in aspre contestazioni, al punto di indurlo ad abbandonare momentaneamente le scene. Se “La libertà” è forse il brano piu’ conosciuto in assoluto, quello che ha fatto e fa ancora più discutere è “Io se fossi Dio”. Gaber lo compose dopo l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e, aldilà di riferimenti espliciti a questa tragica vicenda, per via del contenuto di quasi tutto il testo, nessuna casa discografica se la sentì di pubblicarlo. Fu costretto a farlo da solo; si trattava di un’autentica invettiva che travolgeva, con enfasi crescente ed incalzante, religione, politica e anche la normale quotidianità. Una sera d’estate dei primi anni ’80, in una Piazza del Duomo a Milano, straboccante di folla, durante un concerto gratuito, la presentò ed il pubblico gli tributò una standing ovation interminabile: “Io se fossi Dio non sarei così coglione a credere solo ai palpiti del cuore o solo agli alambicchi della ragione…Io se fossi Dio non sarei mica stato a risparmiare, avrei fatto un uomo migliore. Si vabbè lo ammetto, non mi è venuto tanto bene, ed è per questo, per predicare il giusto, che io ogni tanto mando giù qualcuno, ma poi alla gente piace interpretare e fa ancora più casino…”.
La libertà è partecipazione, grazie per sempre, Giorgio.
Si è conclusa ieri sera la 39° edizione del Tenco 2015, "Tra la Via Aurelia e il West". Molti gli artisti che hanno celebrato Francesco Guccini.
Come nei giorni scorsi, Freddy Colt ci ha inviato la sua cronaca, che ascolterete su RadioIlDiscobolo stasera alle 19 e domani mattina alle 11.
E se siete troppo curiosi per aspettare, al link www.4shared.com e ascoltatela subito!
Grazie a Freddy Colt per i servizi e a Walter Martinelli per il lavoro di montaggio.
Oggi vi proponiamo un articolo che Cesare Cavalleri, socio della nostra Associazione, ha scritto nell'aprile 2011 per il numero 602 della rivista "Studi cattolici".
Eravamo in molti, non moltissimi, il 15 marzo alle 14,45, ai funerali di Nilla Pizzi, nella chiesa di Sant’Eufemia, in corso Italia, a Milano. Giornata grigia, in questa strana primavera che, dopo aver consentito la fioritura dei ciliegi giapponesi simmetricamente disposti sul sagrato, adesso minacciava pioggia.
Ma quegli alberi fioriti erano un implicito omaggio al repertorio della Pizzi, che di Ciliegi rosa, di Larue-Louiguy (1951), aveva fatto un cavallo di battaglia.
La sera prima ero andato, alle 18, a rendere omaggio alla camera ardente nella clinica Capitanio, in via Mercalli. Non c’era nessuno, se non la fida assistente della Pizzi, che mi ha spiegato l’inutile intervento chirurgico di tre giorni prima, su una persona che il 16 aprile avrebbe compiuto 92 anni.
Nilla era composta nella bara, e attraverso una spessa lastra di vetro, la si vedeva ben pettinata e ben truccata, con una camicetta a scaglie coloratissime e brillanti, come le piaceva negli ultimi tempi (Nilla non è mai stata felicissima nella scelta del guardaroba).
Il funerale è stato officiato da un sacerdote troppo giovane per conoscere davvero chi aveva davanti e l’omelia è stata genericamente spirituale. Ma più volte il sacerdote si è imbattuto nella parola «nulla», in assonanza involontaria con il nome «della nostra sorella Nilla». Al termine, è stata letta una poesia tanto volonterosa quanto kitsch, tutta rime obbligate.
All’uscita, con l’inevitabile applauso (ma in quale altro modo si può esprimere l’affetto, stemperare la commozione?), ho riconosciuto Giorgio Consolini e Wilma De Angelis, colleghi fedelissimi di tante tournées di Nilla Pizzi in Italia e all’estero. Mi hanno poi detto che c’erano anche Iva Zanicchi e Ombretta Colli, ma non le ho individuate.
È scomparsa, con Nilla Pizzi, un’Italia che si è voluto troppo in fretta dimenticare. Ritorniamoci su, in questo contrastato 150° dell’Unità. Tutto era cominciato con una canzone, Grazie dei fiori, al 1° Festival (radiofonico) di Sanremo.
Siamo nel 1951, l’Italia sta ricostruendo le case rizzando, in molte zone, impalcature ancora di legno. La melodia (bellissima, immortale) di Saverio Seracini è struggente, e l’orchestrazione del maestro Angelini conferisce al finale un pathos che ricorda l’addio della Traviata. La gente ha voglia di vivere, va a ballare col vestito della festa, ma l’immaginario interiore è tutto sentimentale: Nilla Pizzi che, nella canzone, respinge le rose rosse di un antico innamorato che forse vorrebbe ricominciare, dà prova dolente di fermezza, di dignità ferita. Il trionfo, com’è arcinoto, avviene l’anno dopo, il 1952, quando Nilla Pizzi arriva prima, seconda, e terza al Festival, con Vola colomba, Papaveri e papere, Una donna prega. Nessuno come lei avrà saputo interpretare il sentire degli italiani. Era vivissima, al tempo, la questione di Trieste, e la Pizzi voleva essere colomba per volare laggiù dal suo amore che, «inginocchiato a San Giusto», pregava per il suo ritorno. Già, perché allora non si aveva pudore di mettere nelle canzoni anche la preghiera: Nilla Pizzi non è mai stata troppo devota, ma nel 1952 anche i non devoti sapevano di dover pregare. Fu l’acme del successo e da allora Nilla Pizzi divenne «la Regina della canzone». Ma già l’anno dopo, quando tentò, con Campanaro, di bissare il successo di Vola colomba, le fu preferito il romantico Viale d’autunno cantato da Flo Sandon’s e da Carla Boni, e qualcuno cominciò a bollarla come «patriottarda».
Ecco, questo è il (mal)costume di casa nostra: non si può applaudire qualcuno senza, al contempo, denigrare qualcun altro. Come si verificò puntualmente a Sanremo nel 1958: vinse, meritatamente, Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu, ma l’Edera di Nilla Pizzi, dello stesso Seracini di Grazie dei fiori, è una canzone straordinaria, della migliore tradizione melodica e appassionato
inno all’amore fedele.
Poteva esserci posto sia per le nuove tendenze, sia per la melodia, come, per esempio in Francia, Juliette Gréco e Yves Montand hanno continuato a cantare Les feuilles mortes, anche ai tempi del rock e dopo. Da noi, no.
Nilla Pizzi in archivio, nonostante i successi internazionali e l'inossidabilità della voce. Per lei solo qualche comparsa in programmi pomeridiani di nostalgia, un fuggevole omaggio per il 50° di Sanremo, e l’anno scorso, per il 60°, un’apparizione un po’ grottesca con mantello di Regina sorretto dai cinque valletti.
Eppure lei si ostinava a cantare, anche in televisioni private, anche in spettacoli di provincia. Perché era nata per cantare, e solo il canto era la sua vita, ancorché abbandonata dalle case discografiche e a corto di repertorio. Nel 1994 un effimero ritorno a Sanreno, con una «Squadra Italia » formata da vecchie glorie degli anni ’60. Negli ultimi decenni a Nilla Pizzi si è continuato a chiedere solo la replica infinita di Grazie dei fiori, di Papaveri e papere, dell’Edera. Eppure aveva un repertorio ben più vasto e in molti ricordano le sue interpretazioni di Non è la pioggia, È stata un’avventura, Dopo di te, Che si fa, Desiderio ‘e sole con cui vinse il primo Festival di Napoli, nel 1952.
Splendida la sua versione italiana di Verde luna, che nel film Sangue e arena, una maliziosissima Rita Hayworth eseguiva alla chitarra (e forse era doppiata), per un frastornato Tyrone Power. Ma per Nilla Pizzi, per la sua voce inarrivabile, densa e morbida come un velluto nero (invano Milva aveva tentato di imitarla), non c’era più spazio. Era iniziato il lungo esilio della «Regina», e ogni volta che le veniva concesso un siparietto per la milionesima replica di Grazie dei fiori o di Vola colomba, lei si prestava perché non aveva altra scelta, ma con atteggiamento di ingiustizia patita, di credito non riscosso. E finiva per diventare una presenza colpevolizzante.
In realtà, con Nilla Pizzi, si è inteso archiviare l’Italia che lei impersonava. Un’Italia operosa, fondamentalmente sana, che premiava la professionalità, che non aveva paura dei buoni sentimenti,
che sapeva distinguere lavoro e tempo libero, politica e canzonette.
Quando è nata Nilla Pizzi, l’Italia aveva sessant’anni. Adesso che se n’è andata a quasi 92, siamo qui a celebrare un 150° in ordine sparso, ancora divisi. Senza fiori, senza colombe. A Sanremo, quest’anno, ha vinto Roberto Vecchioni che, in questa «maledetta notte che dovrà pur finire», non ha da offrire altro che «musica e parole». Ricetta insufficiente per una diagnosi sbagliata.
siete pronti a una nuova, entusiasmante settimana con Radio Il Discobolo? Domenica 25 ottobre, alle ore 18, Simone Climon vi aspetta con il suo Gran Galà, dedicato al cantante e musicista Vittorio Paltrinieri, grande amico di Walter Chiari, divenuto famoso negli anni Quaranta.
Biografia
Inizia lo studio del pianoforte all’età di 4 anni…. la musica, come è solito dire, è il suo grande amore!
Un carissimo amico d’infanzia lo accompagnerà in questo intenso periodo: Walter Chiari.
Nel ‘46 iscritto a sua insaputa da un amico a un Concorso in Rai vince tra centinaia di partecipanti, e diventa Pianista e Cantante dell’Orchestra del Sciorilli , con il M° Sciorilli inizia la sua carriera discografica incidendo dischi per la FONIT famosa casa discografica milanese, che in quel periodo aveva artisti come il M° Kramer, Natalino Otto, il Quartetto Cetra e molti altri.
Dopo pochi mesi, il M° Kramer ha l’occasione di ascoltare le sue registrazioni, ne rimane colpito e lo ingaggia come cantante nella famosissima Orchestra Kramer ( ‘47’48’49): tre anni di dirette radiofoniche, maturando un notevolissimo successo.
Definito da numerose testate giornalistiche dell’epoca “La Voce che Sorride” , era famoso per il timbro melodioso e caldo della voce, e per il notevole swing.
Le registrazioni di allora venivano effettuate su un disco di cera, e….. la “prima” era buona…. NON ESISTEVA AUTOTUNE …o cantavi o te ne andavi !!!
Solo negli anni che vanno dal ’46 al ’50 incide più di 1000 dischi, tenuti ancora oggi come prezioso archivio d’epoca.
Nonostante il grande successo radiofonico, la sua voce e le sue canzoni venivano mandate in onda quotidianamente, da Roma improvvisamente arriva una comunicazione, in cui veniva vietato a tutti i cantanti definiti moderni (genere swing) di cantare in diretta, previo un esame d’obbligo. Questo “strano” provvedimento colpisce oltre Paltrinieri anche Natalino Otto, Bruno Pallesi, Corrado Loiacono, e altri ormai conosciuti beniamini del pubblico radiofonico.
Fu davvero un colpo, basso per tutti questi bravi e preparati artisti, che comunque, aldilà della comunicazione Rai, sentivano ugualmente la loro voce e le loro canzoni trasmesse più volte al giorno.
Milano allora dominava il mercato discografico, e sicuramente questo aveva infastidiva molto qualcuno che “contava” giù a Roma…
Le porte della RAI si riapriranno solo nel 1954.,
Stava partendo nella capitale una nuova trasmissione radiofonica Kramer propone a Paltrinieri di parteciparvi.
Tornato alla radio collabora con i M° Bruno Canfora, M° Barzizza, M° Brigada e tanti altri.
Musicista, ma anche appassionato di strumentazioni elettroniche innovative per la registrazione e la tecnica del suono, a fine anni ’50 primi ’60, fu il primo a realizzare in Italia il sistema della sovrapposizione delle voci registrate,incidendo brani corali di grande capacità di estensione vocale: dalla voce piena fino ai falsetti più acuti !
Conosciutissimo anche in Spagna e in Portogallo per molti anni si recherà in tournée a Madrid a Lisbona, e in una di quelle occasioni verrà ricevuto da Re Umberto di Savoia che ne apprezzerà le di lui, notevoli doti musicali.
Negli anni ’60 le mode cambiarono, il genere musicale di quegli anni non gli apparteneva più
Lavora come compositore realizzando famose pubblicità televisive per “Carosello”.
Nel ’64 la Fabbri Editore lo contatta e gli affida la composizione di tutte le musiche originali delle mitiche “FIABE SONORE” tra cui la leggendaria “ A MILLE CE N’E ”……..quanti bambini hanno sognato su questa dolcissima musica…..naturalmente cantata con la sua voce inconfondibile!
Nel ‘70 fonda FONOPLAY sala di registrazione che lo vede impegnato nel realizzare migliaia di sigle, spot televisivi, dischi e a lavorare con le grandi orchestre.
Negli anni ’90 all’età di 70 anni si ritrova con una voce ancora giovane e fresca, decide così di realizzare “Sogno Romantico” un cd contenente le più belle canzoni dei “suoi “amati tempi, cioè degli anni ‘40’50, stupende pagine di musica …. da Unforgetteble, a My way, Dream, e tante altre.
Care amiche e cari amici del Discobolo,
vi regaliamo una vera e propria chicca!
Direttamente da Sanremo, il nostro inviato Freddy Colt ha consegnato al maestrone Francesco Guccini la copia della rivista Mellophonium, interamente dedicato a lui.
(Ph Francesco Giorgi)
E, a proposito di Tenco, vi aspettiamo alle 19 su Radio Il Discobolo, con la cronaca della seconda serata.
Se volete ascoltarlo subito, ecco il link: www.4shared.com.
Il montaggio della puntata è a cura di Walter Martinelli.
Ultimo giorno del PremioTenco 2015, a Sanremo. Fra gli altri, stasera si esibirà Samuele Bersani, grande protagonista della musica italiana, assieme a Pacifico.
Su Samuele, che arrivò al successo egli anni Novanta grazie a Lucio Dalla, vi proponiamo un articolo scritto da Fabrizio Bordone.
Samuele Bersani: il cantautor cortese.
La figura del cantautore si presta facilmente ad etichette, a cliché prestabiliti. Vi troviamo quelli cosiddetti impegnati alla Guccini o alla De Gregori, quelli che diffondono cultura tipo Battiato e Vecchioni, gli esistenzialisti fustigatori di costumi come De André. Ci sono quelli prettamente sentimentali alla Baglioni e poi tutto un universo meno catalogabile, galassie variegate dove ruotano stelle di varia grandezza. Samuele Bersani fa parte di quella schiera cantautoriale che rifugge il successo facile, quegli artisti che privilegiano un’elegante ironia, tutta da cogliere, esternata quasi in punta di piedi. Figlio di una terra festaiola e godereccia come la Romagna, di gente sanguigna e passionale, dove vive la leggenda del Passator Cortese, famoso brigante dell’800. Secondo alcuni era un uomo feroce e spietato, per altri, una sorta di Robin Hood dalla parte dei deboli. Passatore perché il padre traghettava le persone aldilà di un fiume locale e cortese per la seconda versione di cui sopra.
Samuele è ancora semi-sconosciuto, siamo all'inizio degli anni novanta e qui c’è un aneddoto particolare che merita di essere raccontato. Lucio Dalla sta guidando in autostrada, l’autoradio è sintonizzata su un’emittente locale che sta trasmettendo un brano dell’esordiente giovanotto. Il grande Lucio, colpito da quella canzone, sta per entrare in una galleria ed accosta appositamente per poterla ascoltare fino in fondo! Lo porterà con sé in tour come “apripista” dei suoi concerti, ha così inizio la carriera del nostro ventunenne. Già il primo brano “Chicco e Spillo” ha buoni riscontri commerciali, ma è con l’album “Freak” che arriva il successo presso il grande pubblico. Contiene il brano omonimo e la splendida, amara “Spaccacuore”. “Freak” è una descrizione sagace ed ironica dei sogni adolescenziali più ingenui ed alternativi, parla di “esportare in India la piadina romagnola” o fare “un corso di campana tibetana”. Siamo in un periodo storico nel quale i giovani hanno ideali confusi, se anni prima agivano per farsi spazio nella società, ora assistono passivi al mutare dei tempi. “Spaccacuore” invece è un brano decisamente intimista che parla della fine di un amore, fine voluta da una parte e subita dall’altra: “…ma non pensarmi più che cosa vuoi aspettare? L’amore spacca il cuore, spara! Spara! Spara, amore…”. Questa canzone acquisirà un maggior successo anni dopo, quando sarà parte della colonna sonora del film “Chiedimi se sono felice” del formidabile trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”. La fortunata collaborazione con Dalla lo porta a scrivere il testo di “Canzone”, brano che resterà a lungo in vetta alle classifiche. Bersani a questo punto gode di un certo credito nell’ambiente, esce il singolo “Coccodrilli” che anticipa il nuovo album il quale contiene la bellissima “Giudizi Universali”, il cui testo si aggiudicherà il prestigioso Premio Lunezia: “Mangiati le bolle di sapone intorno al mondo e quando dormo taglia bene l’aquilone, togli la ragione e lasciami sognare, lasciami sognare in pace…”. Testi profondi, di grande suggestione, delicati fraseggi poetici. Samuele partecipa al Sanremo 2000 con un’altra delle sue perle, “Replay”: “Non chiedere mai niente al mondo, ho solo te, come una cosa che non c’è, cercando dappertutto anche in me, ti vedo dentro al replay…”. Questo bellissimo brano, dall’incedere onirico, quasi lisergico, vince il Premio della critica Mia Martini. E’ poi la volta di “Chiedimi se sono felice” come si diceva sopra con vari brani tra cui quello omonimo: “Felicità, improvvisa vertigine, illusione ottica, occasione da prendere…Felicità, ricordare è un pericolo, come si elimina un quintale di fosforo?…”. Un film delicatamente romantico con una colonna sonora, quella di Bersani, azzeccata come non mai. Citare brevi passaggi dei testi di Samuele non rende giustizia alla “complessa semplicità” del suo esprimersi, la garbata ironia malinconica permea i suoi brani più intimisti. Ha collaborato e collabora con artisti del calibro di Ornella Vanoni, Mina, Concato, Cammariere, la Mannoia e molti altri. Ormai è uno dei più apprezzati parolieri, ogni nuova uscita è la conferma di un talento innato per la narrazione. Geniale la canzone “Lo scrutatore non votante” dove parla del malcostume di chi critica e non agisce, chi predica bene e razzola male, un malvezzo di molti nostri connazionali. Anche qui, rendono meglio le parole di qualunque altra cosa: “Lo scrutatore non votante…prepara un viaggio ma non parte, pulisce casa ma non ospita, conosce i nomi delle piante che taglia con la sega elettrica…”. E’uscito in primavera il nuovo singolo “Le storie che non conosci” insieme a Pacifico e con Guccini nel finale del brano a mo’ di cammeo.
Samuele Bersani, il cantautore in punta di piedi, il cantautor cortese…
Vi siete persi la cronaca della prima serata del PremioTenco a cura di Freddy Colt direttamente da Sanremo? Non riuscite ad ascoltarla neppure domani alle 11? Nessun problema, la potete ascoltare al seguente link: www.4shared.com. Il montaggio della puntata è a cura di Massimo Baldino e Walter Martinelli.
Piccola "rivoluzione" al Premio Tenco 2015. La rassegna musicale, che di solito si apre con "Lontano, lontano", di Luigi Tenco, ha omaggiato fino in fondo il maestrone Guccini e ieri sera Vittorio de Scalzi ha aperto cantando "Auschwitz", con l'accompagnamento di Mauro Pagani al violino.
Purtroppo di tutto quello che è successo ieri sera abbiamo solo la "cronistoria" via tweet del ClubTenco, perché la manifestazione musicale in tv non passa... Ma presto avremo la cronaca del nostro inviato speciale Freddy Colt e vivremo in parte la magia della serata.
Grandi emozioni, a leggere i commenti di chi ieri sera era all'Ariston, sono arrivate da Roberto Vecchioni ( e non ne dubitavamo, davvero!).
Stasera altri grandi ospiti, tra cui Carmen Consoli.
A più tardi con Freddy Colt e, nel frattempo, godetevi questa "perla" di cui sono protagonisti Guccini e Vecchioni, oltre a Lucio Dalla. :)
Riportiamo qui un articolo che il nostro socio e collaboratore Enzo Giannelli dedicò al sito Il Discobolo. Nei prossimi giorni segnaleremo tanti altri articoli che parlano di noi.
Parte domani il Premio Tenco, quest'anno dedicato al Maestro Francesco Guccini e sul nostro sito, www.ildiscobolo.net, lo seguiremo con delle "finestre" speciali... sarà una sorpresa per tutti voi, continuate a seguirci! Ospite della prima serata del Tenco sarà Roberto Vecchioni: qui di seguito vi proponiamo un bell'articolo su di lui scritto da Fabrizio Bordone, appassionato di musica e redattore del giornale on-line LaSpeziaOggi.
(Omaggio a Guccini: Vecchioni canta "Incontro")
Letteratura in musica: il professor Roberto Vecchioni
Uno dei motivi principali per i quali gli adolescenti
frequentano la scuola malvolentieri è la mancanza di un corpo docente che li
stimoli, li coinvolga, li faccia sentire attori protagonisti della propria
formazione culturale. Fortunatamente, come in tutte le professioni, ci sono
insegnanti che amano il proprio lavoro e che sanno di ricoprire un ruolo
delicato, di grande importanza e responsabilità. Uno di questi èRobertoVecchioni, uomo di grande cultura,
soprattutto classica, cantautore, scrittore, paroliere, poeta ma soprattutto
insegnante, l’insegnante che tutti avrebbero voluto. Nasce inBrianzada
genitori napoletani e lega gran parte della propria vita aMilano. Proprio alla metropoli lombarda è dedicato
uno dei suoi maggiori successi, “Luci a San Siro”. Un brano nostalgico che celebra
mirabilmente il ricordo ed il rimpianto degli anni migliori della propria
giovinezza. Sarà rivalutato solo molti anni dopo, ai tempi passò piuttosto
inosservato.San Siro, per
antonomasia, fa subito venire in mente l’omonimo stadio, tempio del calcio
italiano, ma è anche uno dei quartieri più originali diMilano. Vi si trova una collina, l’unica nella piatta
metropoli e molti non sanno essere artificiale perché formata dalle macerie
accumulate alla fine dell’ultima guerra. Una collina che nelle proprie viscere
nasconde un’anima quindi, frammenti di vita e morte, di storie vissute. In
altri tempi, il giovaneVecchioni,come
molti suoi coetanei, trovava da quelle parti, nella vecchiaFiat 600, momenti di intimità. La sua carriera
musicale è stata inizialmente quella di paroliere, ha scritto brani perOrnella Vanonie molti altri colleghi. Da ricordare
uno dei tormentoni dell’estate del ’71, ossiaDonna FelicitàdeiNuovi Angeli, 45
giri di grande successo. Aldilà di questo pur importante episodio commerciale,
il paroliereVecchionicomincia a farsi notare per le
tematiche storiche utilizzate sia come metafore per descrivere il presente, sia
per parlare occultamente di se stesso. Dopo l’esordio sanremese con la profonda“L’uomo che si gioca il cielo a dadi”, dedicata al
padre, scrive la splendida “Velasquez” dove prende a prestito il grande
navigatore per raccontare quel momento della propria vita: “Ahi Velasquez, com’è duro
questo amore. Mi pesa la notte prima di ricominciare: e tante veglie,
come soglie di un mistero, per arrivare sempre più vicino al vero…” .
La sua versatilità lo porta a scrivere le canzoni dei famosi cartoni animati“Barbapapà”, preludio all’imminente grande
successo diSamarcanda.
Questo brano, doveAngelo Branduardisuona
il violino, segnerà la svolta della sua carriera che da allora diventerà tutta
in discesa. Si tratta di un’allegoria sul destino e sulla morte basata su un racconto
orientale e narra di un soldato che per sfuggire appunto la morte, scappa,
invano, nella città dell’Uzbekistan. Il ritornello orecchiabile resterà un
marchio indelebile ed inconfondibile. Nello stesso album troviamo la poetica ed
intimista “Canzone per Sergio”,
dedicata al fratello notaio, canzone tesa ad un riavvicinamento dopo la morte
del padre. Un altro successo risale al ’78, “Stranamore”, un brano velatamente religioso se lo
si sa interpretare. Una trasposizione in musica e versi dell’evangelica “porgi
l’altra guancia”: “E tu che hai preso in mano il filo del mio treno di
legno, che per essere più grande avevo dato in pegno: e ti ho baciato
sul sorriso per non farti male…”. Un anno dopo, avvenne un episodio che segnò moltoVecchioni, ovvero la carcerazione con l’accusa di
aver offerto uno spinello ad un minorenne durante un’esibizione siciliana allaFesta dell’Unità. Tempo dopo venne assolto con formula
piena ma quei giorni passati in carcere in attesa del rientro del giudice dalle
vacanze gli ispirarono la celebre “Signor Giudice”: “Signor Giudice le stelle sono chiare per chi le puo’ vedere magari
stando al mare…” .Alterna dischi e libri, conduce un
programma suAntenna 3 Lombardia,
emittente privata in auge in quel periodo, si sposa con la scrittriceDaria Colombo. Riconquista la ribalta vincendo il
Festivalbar del ’92 con “Voglio unadonna” e la
vittoria piu’ prestigiosa arriverà quasi vent’anni dopo aSanremocon
“Chiamami ancora amore”.
Del 2002 è un altro dei classici diVecchioni, “Figlio figlio, figlio”nel
quale, in modo accorato, parla del ruolo paterno e di come i figli debbano
rendersi autonomi rispetto alla famiglia. Si diceva della vittoria aSanremocon“Chiamami ancora amore”
che probabilmente non era il brano migliore in assoluto di quell’edizione, ma
se vogliamo interpretarlo alla stregua di un premio alla carriera, ci sta tutto
ed è meritatissimo. La sua vittoria piu’ grande di sempre, tuttavia, è
stata l’aver sconfitto un tumore al rene dopo aver subito anche un infarto. Il
paroliere, poeta-cantautoreRoberto Vecchioninon ha
mai voluto trascurare la sua vera “missione” nella vita. Ha insegnato presso importanti
Università, tenuto corsi importanti e prestigiosi sia nell’ambito della
comunicazione che nel proprio “habitat” più congeniale, ossia le materie classiche,
italiano, greco e latino. Tra i tanti riconoscimenti ricevuti, oltre al titolo
diUfficiale della Repubblica, la sua nomination alPremio Nobel per la Letteraturanel 2013.
IlProfessorRoberto Vecchioni,un
esempio per tutti ed il miglior rappresentante dell’arte di insegnare. Una vita
spesa ad insegnare la vita (Link all'articolo originale: www.laspeziaoggi.it)