GENOVA – Considerato uno dei più importanti artisti della
sua generazione, Alberto Gazale é un baritono dalla voce morbida e potente e
dalle spiccate doti attoriali. Apprezzato e richiesto dai più importanti Teatri
d’Opera in Italia e nel mondo, nel 2014 é stato insignito dell’International
Opera Award, il più importante premio conferito ai protagonisti della lirica
mondiale. Lo abbiamo incontrato e intervistato a Genova dove nei giorni scorsi
ha calcato il palcoscenico del Teatro Carlo Felice, nei panni del barone
Scarpia in Tosca.
D. Quando e come nasce il tuo amore per l’Opera?
R. É nato prima l’amore per il teatro in tutte le sue forme
e per l’espressione artistica in generale. Con l’Opera fu una casualità: un
giorno dentro una Chiesa ebbi modo di ascoltare una cantante lirica e pensai
che ci fosse qualcosa di magico, ma anche di tecnico, nel riuscire ad usare la
voce in quel modo. Quindi mi avvicinai e chiesi come si facesse, volevo
imparare anch’io il meccanismo e la tecnica. Il primo maestro da cui andai era
il fratello di quella cantante e pressoché mi obbligò a fare studi seri perché
riconobbe delle doti notevoli. Quindi tutto iniziò così, ma io non ero nato con
l’idea di fare questo mestiere, mi é venuto incontro e non ho potuto tirarmi
indietro.
D. Quando e come hai esordito?
R. Lo studio e l’esordio hanno praticamente coinciso. Dopo
un anno di studio, che è davvero poco per un cantante lirico, feci il mio primo
concerto pubblico, che andò molto bene, e dopo due anni feci il mio debutto
nell’Opera. Ovviamente non avevo ancora la completa maturità ma, nonostante i
miei 22 anni, avevo la possibilità e la capacità di reggere il palcoscenico e
di portare fino in fondo una parte. Ho iniziato quindi a misurarmi con il
mestiere del cantante che certamente non è facile. É facile se si hanno tutte
le carte in regola ma se manca qualcosa diventa difficilissimo, un bagno di
sangue dal punto di vista energetico.
D. Com’è la vita di un cantante lirico?
R. É un matrimonio con l’arte. Fare l’artista ad un certo
livello e con una certa assiduità, significa sposare l’arte ed è difficile far
collimare vita privata e vita artistica, ma è vero anche che con un po’ di
peripezie e un po’ di follie si riescono a tenere in piedi entrambe le cose.
L’artista esiste quando è sul palcoscenico, quando prova e ogni volta che
faccio una produzione anche quella diventa la mia famiglia.
D. Come curi la tua voce?
R. É una cosa molto seria perché la cura significa
alimentare uno strumento che è fatto di muscoli e cartilagine, é fatto di tutta
una fisiologia che va tenuta sempre in ordine e va allenata. Il cantante non
può riporre la sua voce in una custodia come si fa con uno strumento. La nostra
voce é sempre con noi, la abbiamo sempre in gola e dobbiamo fare molta
attenzione per non rovinarla. Ci sono una crescita e una maturazione artistica
costanti e se la voce é sana ogni giorno si aggiunge un mattoncino, ma se la
voce ti abbandona davvero si cade in una crisi mostruosa, per i motivi che
dicevo prima, l’arte è tutta la tua vita e tu sei un cantante ed un artista
prima che un uomo.
D. Hai dei modelli del passato o del presente?
R. Ho i modelli del passato perché è giusto cercare di
capire ed imparare il più possibile quello che la tradizione ci ha lasciato. Ci
sono artisti che a 80 anni ancora cantano ed esistono ancora. Penso sia giusto
conoscerli cercando di impadronirsi dei segreti che hanno reso queste persone
capaci di comunicare con il pubblico per così tanti anni. Al contempo reputo
che un artista debba avere la sensibilità di “sentire” il tempo che cambia e
capire che ci sono cose ineterne e in continua trasformazione, per cui un
cantante di oggi deve chiaramente adattarsi al pubblico di oggi che è
completamente diverso da quello di 20/50 anni fa. 50/60 anni fa solo per il fatto di sentire il cantante da
lontano il pubblico gridava al miracolo, oggi è scontato. Piuttosto il pubblico
di oggi vuole vedere l’attore, il cantante, il musicista, talvolta anche in
modo vagamente ossessivo, così si finisce per perdere quella capacità di
giocare con l’arte e di rischiare. Personalmente non riesco a non prendere dei
rischi quando canto e talvolta spingo l’attorialità ben oltre i confini della
prudenza. Certe volte va bene, certe volte c’è il rischio che possa succedere
qualcosa di anomalo, anche se normalmente non succede.
D. Quale personaggio del tuo repertorio ti rispecchia di più
e perché?
R. Ho iniziando rendendo tutti i miei personaggi buoni forse
perché io di animo lo sono. Poi ho cominciato a rovistare nella mia anima per
cercare la mia parte più cattiva, quella che abbiamo tutti, perché i ruoli del
baritono sono quasi tutti crudeli o comunque di sofferenza. Quando
interpretiamo un ruolo lo facciamo dando la nostra fisicità, la nostra psiche
ed anche la nostra umanità al personaggio. Non ne ho uno preferito, magari ci
sono personaggi che sento più lontani. Per anni, per esempio, non ho voluto
fare Carmendi Bizet. Il personaggio di Escamillo, che poi ho interpretato anche
con una certa fortuna, si presenta dicendo : “je suis Escamillo, torero de
Granada”. Io non mi presenterei mai dicendo “sono Alberto Gazale il baritono
verdiano”. Quindi sentivo che quel personaggio non mi apparteneva, ma
interpretarlo è un gusto.
D. Quali sono i mali attuali dell’Opera?
R. Direi che ce ne sono molti. Intanto vi sono forti
resistenze rispetto ad un tempo che sta cambiando: il pubblico cambia in
continuazione e il dovere di un artista è quello di sentire nell’aria dove sta
andando il cambiamento. Da quanto posso osservare ogni giorno c’è sempre più
difficoltà per il pubblico a prestare attenzione. Diminuisce la capacità di
leggere un libro, di vedere un film o un’opera o una prosa senza commentare
immediatamente. Siamo diventati cattivi spettatori, tutti vogliono essere protagonisti.
Al netto di qualche eccezione l’ascoltatore medio non ha più la capacità di
stare troppo tempo concentrato sullo stesso argomento. La capacità di
concentrazione si è proprio accorciata.
D. Cosa ne pensi dell’Opera al cinema o in televisione?
R. Io credo che ci sarà un ritorno prepotente al teatro
perché in parte cinema e televisione sono stati superati da computer e social
network e la vita è tutta in diretta. Un film non è in diretta mentre uno
spettacolo dal vivo si. Credo fortemente nell’Opera partecipata, per
coinvolgere e far sentire il pubblico parte dell’Opera e dentro di essa.
Rendere lo spettatore attore, farsi seguire non solo nella consecutio
drammaturgica, è la salvezza del teatro nel futuro. È necessario far diventare
parte attiva gli operatori culturali: le persone che fanno cultura dovrebbero
diventare di moda, bisognerebbe tornare a rendere famosa la creatività che è
l’unica cosa di cui siamo capaci storicamente noi italiani.
D. Quanto sono importanti i social per un artista?
R. I social contano ormai più della tv. Essere presente in
questa specie di “mega grande fratello”, in cui tutti sanno dove sei e cosa fai
artisticamente, è importante e ha cambiato in parte il nostro lavoro. Artisti
come Del Monaco impiegavano 10 anni per farsi conoscere e far vedere quel che
sapevano fare e altrettanti per raccogliere i frutti del loro lavoro. Negli
anni Sessanta/Settanta il cantante che otteneva un encomio sul Corriere
della Sera o su Repubblica aveva vinto. I social quindi sono importanti perché
l’artista può esprimersi pubblicamente e far capire immediatamente il perché di
determinate scelte anche di tipo stilistico, registico, etc. Prima tutto questo
era impossibile. Il giudizio degli artisti e dei personaggi pubblici che hanno
migliaia di follower, ha un peso anche se può essere un’arma a doppio taglio.
Io non ho mai usato i social per difendermi dalle critiche ma per dare
comunicazioni o per palesare un particolare stato d’animo positivo neo
confronti, per esempio, di un teatro o di un direttore d’orchestra. Così come
non ho mai fatto commenti negativi perché ritengo i social una sede vile per
buttarvi le proprie amarezze.
D. Da tempo sono state presentate proposte per far
riconoscere dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità il Belcanto e l’Opera
Lirica. Perché è importante questo riconoscimento?
R. L’Opera comprende tutte le discipline, dentro ci sono il
grand opéra, musica, balletto, prosa, coreografia, scenografia, architettura,
architettura del suono, estetica, interpreti, trucco e parrucco, costumi. È
un’unione di discipline e si parte da un tema letterario importantissimo.
Normalmente quando si parla di grandi capolavori si cominciano a scomodare
autori che hanno fatto la storia. Nell’Opera c’è un processo di andare verso,
non è un qualcosa che viene dato come le noccioline alle scimmie, l’Opera
implica un atteggiamento attivo, di ascolto, di approfondimento e di
conoscenza, per questo è importante che esista, sia diffusa il più possibile e
resa consapevole. Avrebbe bisogno anche di nuovi autori. Trovo assolutamente
encomiabile che si stia riparando a questa lacuna ed è ridicolo che non ci sia
già questo riconoscimento che dovrebbe essere ovvio. Chi si sta occupando di
ottenere questo riconoscimento lo fa con grande dispendio di energie e grande
onestà intellettuale, facendo una grandissima opera meritoria. Tutti noi lo
stiamo supportando in tutte le maniere e spero davvero vada a buon fine.
Intervista di Paola Settimini