domenica 25 ottobre 2015

Quel giorno, al funerale di Nilla Pizzi... (Un ricordo di Cesare Cavalleri)

Il 12 marzo 2011 a Segrate moriva Nilla Pizzi. 
Oggi vi proponiamo un articolo che Cesare Cavalleri, socio della nostra Associazione, ha scritto nell'aprile 2011 per il numero 602 della rivista "Studi cattolici".



Eravamo in molti, non moltissimi, il 15 marzo alle 14,45, ai funerali di Nilla Pizzi, nella chiesa di Sant’Eufemia, in corso Italia, a Milano. Giornata grigia, in questa strana primavera che, dopo aver consentito la fioritura dei ciliegi giapponesi simmetricamente disposti sul sagrato, adesso minacciava pioggia. 
Ma quegli alberi fioriti erano un implicito omaggio al repertorio della Pizzi, che di Ciliegi rosa, di Larue-Louiguy (1951), aveva fatto un cavallo di battaglia.
La sera prima ero andato, alle 18, a rendere omaggio alla camera ardente nella clinica Capitanio, in via Mercalli. Non c’era nessuno, se non la fida assistente della Pizzi, che mi ha spiegato l’inutile intervento chirurgico di tre giorni prima, su una persona che il 16 aprile avrebbe compiuto 92 anni. 

Nilla era composta nella bara, e attraverso una spessa lastra di vetro, la si vedeva ben pettinata e ben truccata, con una camicetta a scaglie coloratissime e brillanti, come le piaceva negli ultimi tempi (Nilla non è mai stata felicissima nella scelta del guardaroba).
Il funerale è stato officiato da un sacerdote troppo giovane per conoscere davvero chi aveva davanti e l’omelia è stata genericamente spirituale. Ma più volte il sacerdote si è imbattuto nella parola «nulla», in assonanza involontaria con il nome «della nostra sorella Nilla». Al termine, è stata letta una poesia tanto volonterosa quanto kitsch, tutta rime obbligate.
All’uscita, con l’inevitabile applauso (ma in quale altro modo si può esprimere l’affetto, stemperare la commozione?), ho riconosciuto Giorgio Consolini e Wilma De Angelis, colleghi fedelissimi di tante tournées di Nilla Pizzi in Italia e all’estero. Mi hanno poi detto che c’erano anche Iva Zanicchi e Ombretta Colli, ma non le ho individuate.

È scomparsa, con Nilla Pizzi, un’Italia che si è voluto troppo in fretta dimenticare. Ritorniamoci su, in questo contrastato 150° dell’Unità. Tutto era cominciato con una canzone, Grazie dei fiori, al 1° Festival (radiofonico) di Sanremo.



Siamo nel 1951, l’Italia sta ricostruendo le case rizzando, in molte zone, impalcature ancora di legno. La melodia (bellissima, immortale) di Saverio Seracini è struggente, e l’orchestrazione del maestro Angelini conferisce al finale un pathos che ricorda l’addio della Traviata. La gente ha voglia di vivere, va a ballare col vestito della festa, ma l’immaginario interiore è tutto sentimentale: Nilla Pizzi che, nella canzone, respinge le rose rosse di un antico innamorato che forse vorrebbe ricominciare, dà prova dolente di fermezza, di dignità ferita. Il trionfo, com’è arcinoto, avviene l’anno dopo, il 1952, quando Nilla Pizzi arriva prima, seconda, e terza al Festival, con Vola colomba, Papaveri e papere, Una donna prega. 
Nessuno come lei avrà saputo interpretare il sentire degli italiani. Era vivissima, al tempo, la questione di Trieste, e la Pizzi voleva essere colomba per volare laggiù dal suo amore che, «inginocchiato a San Giusto», pregava per il suo ritorno. Già, perché allora non si aveva pudore di mettere nelle canzoni anche la preghiera: Nilla Pizzi non è mai stata troppo devota, ma nel 1952 anche i non devoti sapevano di dover pregare. Fu l’acme del successo e da allora Nilla Pizzi divenne «la Regina della canzone».
 Ma già l’anno dopo, quando tentò, con Campanaro, di bissare il successo di Vola colomba, le fu preferito il  romantico Viale d’autunno cantato da Flo Sandon’s e da Carla Boni, e qualcuno cominciò a bollarla come «patriottarda».

Ecco, questo è il (mal)costume di casa nostra: non si può applaudire qualcuno senza, al contempo, denigrare qualcun altro. Come si verificò puntualmente a Sanremo nel 1958: vinse, meritatamente, Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu, ma l’Edera di Nilla Pizzi, dello stesso Seracini di Grazie dei fiori, è una canzone straordinaria, della migliore tradizione melodica e appassionato
inno all’amore fedele.
 Poteva esserci posto sia per le nuove tendenze, sia per la melodia, come, per esempio in Francia, Juliette Gréco e Yves Montand hanno continuato a cantare Les feuilles mortes, anche ai tempi del rock e dopo. Da noi, no.
Nilla Pizzi in archivio, nonostante i successi internazionali e l'inossidabilità della voce. Per lei solo qualche comparsa in programmi pomeridiani di nostalgia, un fuggevole omaggio per il 50° di Sanremo, e l’anno scorso, per il 60°, un’apparizione un po’ grottesca con mantello di Regina sorretto dai cinque valletti.
Eppure lei si ostinava a cantare, anche in televisioni private, anche in spettacoli di provincia. Perché era nata per cantare, e solo il canto era la sua vita, ancorché abbandonata dalle case discografiche e a corto di repertorio. Nel 1994 un effimero ritorno a Sanreno, con una «Squadra Italia » formata da vecchie glorie degli anni ’60. Negli ultimi decenni a Nilla Pizzi si è continuato a chiedere solo la replica infinita di Grazie dei fiori, di Papaveri e papere, dell’Edera. Eppure aveva un repertorio ben più vasto e in molti ricordano le sue interpretazioni di Non è la pioggia, È stata un’avventura, Dopo di te, Che si fa, Desiderio ‘e sole con cui vinse il primo Festival di Napoli, nel 1952.



Splendida la sua versione italiana di Verde luna, che nel film Sangue e arena, una maliziosissima Rita Hayworth eseguiva alla chitarra (e forse era doppiata), per un frastornato Tyrone Power. Ma per Nilla Pizzi, per la sua voce inarrivabile, densa e morbida come un velluto nero (invano Milva aveva tentato di imitarla), non c’era più spazio. Era iniziato il lungo esilio della «Regina», e ogni volta che le veniva concesso un siparietto per la milionesima replica di Grazie dei fiori o di Vola colomba, lei si prestava perché non aveva altra scelta, ma con atteggiamento di ingiustizia patita, di credito non riscosso. E finiva per diventare una presenza colpevolizzante.
In realtà, con Nilla Pizzi, si è inteso archiviare l’Italia che lei impersonava. Un’Italia operosa, fondamentalmente sana, che premiava la professionalità, che non aveva paura dei buoni sentimenti,
che sapeva distinguere lavoro e tempo libero, politica e canzonette.
Quando è nata Nilla Pizzi, l’Italia aveva sessant’anni. Adesso che se n’è andata a quasi 92, siamo qui a celebrare un 150° in ordine sparso, ancora divisi. Senza fiori, senza colombe. A Sanremo, quest’anno, ha vinto Roberto Vecchioni che, in questa «maledetta notte che dovrà pur finire», non ha da offrire altro che «musica e parole». Ricetta insufficiente per una diagnosi sbagliata.

(Cesare Cavalleri)

1 commento:

  1. Credo che a Nilla non piacesse essere la Regina ricordo che in una trasmissione TV disse a chi la presentò come tale "la Regina è in Inghilterra". Nilla è stata tanto con noi che ancora mi sembra impossibile non ci sia più. E' sempre un piacere ricordarla insieme!

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