mercoledì 24 gennaio 2018

Amsterdam, Prinsengarth 263



Continua la preparazione al "Giorno della Memoria" con la descrizione di un luogo particolare, che è diventato in qualche modo simbolo dell'Olocausto: l'alloggio segreto di Anna Frank.

Sono stati scritti centinaia, probabilmente migliaia di libri sull’Olocausto: alcuni sono storie vere, altri romanzi di fantasia, altri ancora saggi storici. Ma ce n’è uno che cattura da decenni l’attenzione, che ancora oggi fa male leggere, ed è Il Diario di Anna Frank. Se Hannelise Marie Frank, Anna per la famiglia, fosse tornata viva da Berger Belsen forse non avrebbe nemmeno pubblicato il suo diario, o forse ne avrebbe fatto un romanzo. Chissà come sarebbe vissuta: avrebbe sposato il suo Peter? Avrebbe avuto dei figli? Come avrebbe sopportato il fatto di essere una sopravvissuta? Ma Anna non è sopravvissuta, Anna è morta di tifo, poco dopo la sorella Margot, in un campo di concentramento.

Chi ha letto il suo Diario, resoconto di due anni di alloggio segreto, almeno una volta avrà cercato di immaginare i luoghi in cui Anna e gli altri rifugiati erano nascosti, tutti noi ci saremo chiesti come dovevano essere quelle stanze, quanto freddo o caldo dovessero sopportare i suoi abitanti, come dovesse essere drammatico vivere così, assieme a persone con cui non si sarebbe mai pensato di abitare, assistere agli eventi solo attraverso la voce della radio o dei pochi amici che proteggevano le famiglie.
La vita di Anna e degli altri ospiti dell'alloggio segreto è comunque andata avanti, fino al tradimento di qualcuno: dai campi di sterminio ritornerà solo il padre, Otto Frank: a lui si deve la pubblicazione del Diario di Anna.

L’alloggio segreto è, da anni, un Museo, che attira ogni anno moltissimi visitatori. Lì dentro, nell'atmosfera soffocante degli ambienti piccoli, con le foto delle stelle del cinema (la passione di Anna) alle pareti, con la sensazione di angoscia al pensiero di ciò che è stato, potremmo solo immaginare come sono stati i lunghissimi mesi di prigionia, ma probabilmente il nostro cervello non vorrà nemmeno pensarci, fa troppo male.

Fa male perché sembra assurda l’idea di perdere la libertà solo perché si è di un’altra etnia/religione. Fa male perché Anna voleva solo vivere, innamorarsi, ridere. Fa male perché l’Olocausto non è mai finito.

(maggiori informazioni sul Museo: www.amsterdamtour.it)



(Claudia Bertanza)

Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare. (Primo Levi)

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