lunedì 4 gennaio 2016

Napule è... 'nu sole amaro... Il 4 gennaio 2015 moriva Pino Daniele

La sera del 4 gennaio 2015 ci lasciava Pino Daniele. Lo ricordiamo con un articolo di Fabrizio Bordone, scritto pochi giorni dopo la scomparsa del grande cantautore napoletano.



Esistevano ancora i juke-box nei bar quando ascoltai Pino Daniele la prima volta. Gli altri adolescenti miei coetanei, continuavano a gettonare Je so pazzo”, solamente per sentire la famosa rima finale e riderci sopra. A me colpiva la profondità e l’originalità del testo. A tratti rabbioso. Risentendola più volte, ne coglievo il significato. Era una lingua a me sconosciuta, il dialetto napoletano, eppure il senso delle parole era chiaro. Pino, figlio anomalo di una città che non ha eguali al mondo, nel bene e nel male. Una città contaminata dal Mediterraneo e dagli americani. Molto più americana di quello che possa sembrare, con la base Nato di Bagnoli, ingombrante quanto basta, sullo sfondo. Il blues ed il jazz, a Napoli, sono entrati piano piano nel dna di molti musicisti. Un elegante e distinto signore come Renato Carosone fece da apripista verso lo swing ed il jazz. Seguì Peppino di Capri, inizialmente orientato verso il rock and roll e poi, dopo un lungo percorso, si formò una generazione formidabile di musicisti. Tullio de Piscopo, James Senese, Enzo Avitabile, Toni Esposito e Giuseppe Pino Daniele. Ha collaborato e suonato con dei giganti della musica: Chick Corea, Pavarotti, Pat Metheny e l’elenco sarebbe sterminato. Un artista di assoluto spessore internazionale. Un uomo mite, schivo, umile, dotato di rara sensibilità ed umanità. Nella sua generosità infinita, ha dedicato il suo tempo ed il suo talento a molti colleghi i quali, con semplici canzonette, vendono ed hanno venduto cento volte più di lui. 
Da ricordare la sua amicizia con un altro grande personaggio quale era Massimo Troisi. A lui regalò la struggente “Quando” per il film “Pensavo fosse amore invece era un calesse”. 




Ma Pino Daniele resterà immortale per aver cantato la propria città in modo semplice ma insuperabile. Nessuno potrà mai eguagliare le parole di “Napule è”.
Napule è mille culure. 
Napoli è mille colori. Il bianco dei panni appesi a un filo tra una casa e l’altra. L’azzurro del cielo, del mare e delle maglie dell’undici di casa. Il rosso del sole quando tramonta dietro Ischia. Il grigio della pavimentazione delle strade sconnesse.

Napule è mille paure. 
La paura di non farcela, la paura di una metropoli caotica ed esasperante.

Napule è ‘a voce de criature
Napoli è la voce dei bambini. I napoletani chiamano i bambini”creature”. Ciò che è stato creato, un prodigio della creazione.

Che saglie chianu chianu e tu sai ca nun si sulo. 
La voce dei bambini aumenta e sai di non essere solo. Dove c’è rumore sei in compagnia, non c’è spazio per la solitudine.

Napule è nu sole amaro
Un sole amaro. Il tempo è spesso bello, il sole riscalda ma la quotidianità è ugualmente dura.

Napule è addore ‘e mare
L’odore del mare ricorda che di fronte ai gangli tentacolari c’è l’infinito, Si passa dal troppo finito delle case ammassate all’infinito dell’acqua, una distesa interminabile.

Napule è una carta sporca e nisciuno se ne importa e ognuno aspetta ‘a ciorta.
 Una metafora per ricordare l’annoso problema dell’immondizia e di quanta passività ci sia su questo tema. E tutti aspettano un colpo di fortuna, un cambiamento della sorte, un miracolo. In questa frase, c’è forse l’essenza più profonda del napoletano-tipo.

Napule è ‘na cammenata inte viche miezo all’ato.
 Napoli è una passeggiata tra un vicolo e l’altro. I vicoli sono il cuore pulsante della città. Lì si trova il popolo con i suoi piccoli e grandi drammi quotidiani, pettegolezzi, intrallazzi di piccolo cabotaggio.

Napule è tutto ‘nu suonno e ‘a sape tutto ‘o munno ma nun sanno ‘a verità
Napoli è indolente, pigra ed è risaputo ovunque. Ma nessuno sa che in realtà è una città viva, mai ferma, agitata. Una città dove sono passati galantuomini come Eduardo, Totò, Troisi e Daniele. 
Non è stato un napoletano né un italiano ma un patrimonio dell’umanità. Per lunghi anni si è esibito indossando un cappello: Uaglio’, chapeau…


(Fabrizio Bordone, post originale: www.laspeziaoggi.it)

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