Aldilà delle canzoni, che dovrebbero essere teoricamente l’unico motivo di interesse, anche questa edizione del Festival lascia in eredità argomenti di discussione. Partiamo dal fondo, dall'epilogo naturale della competizione, ossia la canzone vincitrice. Fatta salva l’indiscussa bravura del duo Meta/Moro, due cantautori e compositori tra i migliori in circolazione in casa nostra, la querelle sul plagio del loro brano lascia uno strascico sull'opportunità di sorvolare davanti ad un episodio del genere. Certo, ci sono argomenti più importanti dei quali parlare, tipo la rovente campagna elettorale o i fatti truculenti di cronaca ma Sanremo è ben più di una gara popolare, questo da sempre.
Di positivo, l’edizione numero sessantotto ci lascia un dato ormai consolidato, ovvero l’ormai evidente sdoganamento della tipologia di pubblico presente all’evento. Fino a pochi anni fa, le serate festivaliere erano una passerella quasi esclusiva per personaggi pubblici ed anche politici che esibivano, come uno status-symbol, l’occupazione della prima fila davanti al palco. Forse mai come quest’anno, si è assistito alla rivincita del popolo pagante, categoria che ha partecipato alla kermesse impadronendosi del Teatro, in questo sì è stato un sessantotto.
La conduzione di Claudio Baglioni è stata senza infamia e senza lode, il popolare cantante romano ha brillato in particolare per i duetti interpretati con i vari ospiti, delegando la vera presentazione alla strana coppia Hunziker-Favino. Strana coppia perché il contrasto tra il poliedrico attore e la soubrette elvetica è stato stridente. Pierfrancesco Favino è stato il mattatore assoluto, un’autentica rivelazione per chi lo conosceva nei panni recitativi o poco più. Oltre alla capacità di intrattenere senza mai essere ripetitivo, ha saputo far sorridere e commuovere, in particolare con l’intenso monologo “La notte poco prima della foresta”, pièce del drammaturgo francese Bernard-Maria Koltès.
Uno dei pezzi forti di Sanremo sono di soliti gli ospiti; tra questi, hanno spiccato l’istrionico Fiorello, la lettera a Sanremo di Pippo Baudo, una sorta di presenza-premio alla carriera, Sting, James Taylor e gli scatenati Negramaro.
Tra i venti big, alcune certezze e molte delusioni, alcuni hanno piacevolmente impressionato, altri non hanno rispettato le attese. Forse, la più grossa delusione è arrivata da Elio e Le Storie Tese, gruppo che sul palco del Festival aveva sempre lasciato un segno improntato all'originalità ed alla qualità; la loro canzone-congedo, si sono da poco sciolti, “Arrivedorci”, si è trascinata stancamente, relegandoli ad una posizione finale umiliante e mai subita prima. Restando in tema di delusioni, Mario Biondi è sembrato fuori contesto; la sua bravura non si discute, ma trasformare la sala in un gigantesco piano-bar non ha pagato. Altro big sottotono, Nina Zilli, una dalla quali ti aspetti grinta coinvolgente ma presente con un brano poco confacente ai suoi standard. Se dai 2+1 Pooh non si poteva pretendere granché di originale, il navigato Ruggeri con i suoi Decibel non ha brillato come era lecito aspettarsi.
Ci sono poi le vie di mezzo, artisti che potevano fare meglio o che hanno proposto brani che difficilmente passeranno alla storia. Tra questi, lo strano trio Vanoni-Pacifico-Bungaro; a fronte di un brano ben suonato dai due musicisti, la grande Ornella ha risentito del peso di una monumentale carriera togliendo qualcosa ad un pezzo peraltro valido. Anche Giovanni Caccamo, ormai un ex-giovane promessa, non ha dato il massimo nell'interpretazione di una canzone molto bella, rimediando un decimo posto comunque ingeneroso. In questo limbo, tra coloro che son sospesi, ci mettiamo anche Noemi e Renzo Rubino, entrambi con buoni brani ai quali è mancata la personalità per spiccare il balzo.
L’altra metà dei concorrenti, rientra tra le note positive, a partire da due onesti e validi professionisti come Luca Barbarossa e Max Gazzè. Il primo, senza strafare, ha dimostrato come si possa scrivere ed interpretare al meglio una canzone d’amore in modo semplice e genuino, la sua “Passame er sale” è uno stralcio commovente di vita a due quotidiana. Il secondo ha rischiato con un brano intrigante e ben poco sanremese dal testo colto ed inusuale, “La Leggenda di Cristalda e Pizzomunno”, una favola stile progressive anni settanta, tra le cose migliori sentite in generale. Anche il veterano Ron ha rischiato con un brano del sempiterno Lucio Dalla, un pezzo di non immediato ascolto ma che si insinua nella mente ascolto dopo ascolto. Meritavano qualcosa in più le coppie Avitabile-Servillo e Paci-Diodato fors’anche sprecati per una rassegna leggera come il Festival. Di gran presenza scenica i The Kolors, band che venderà tantissimo e la sorpresa Lo Stato Sociale, forse un po’ troppo in alto con il secondo posto. Se Annalisa può ritenersi soddisfatta del terzo posto, miglior fortuna avrebbero meritato le redivive Vibrazioni del grintoso Sarcina. In conclusione, visto com’è andata, sembra profetico il titolo dei vincitori. Non ci avete fatto niente…
(Fabrizio Bordone)
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