Cefalonia è un’isola greca in cui la guerra, fino alla caduta del Fascismo e all’armistizio, non era praticamente arrivata. Ma nel 1943 cambiò tutto e, con il passaggio dell’esercito italiano da una parte all’altra degli schieramenti bellici, Cefalonia divenne il teatro di una delle stragi di guerra più efferate. I soldati tedeschi, infatti, trucidarono migliaia di ex alleati, ora nemici. Quanti furono a morire, non si sa di preciso. E non è questo che interessa a Vincenzo Di Michele, scrittore, che nel suo romanzo storico “Cefalonia, io e la mia storia”, (Edizioni Il Cerchio) vuole farci vivere in prima persona i giorni dell’inferno.
E lo fa interpellando in prima persona un ipotetico lettore curioso e, a tratti, perplesso o critico riguardo alla narrazione. Una narrazione che ripercorre i fatti storici, ma visti con gli occhi di chi, questa tragedia, l’ha vissuta (quasi) in prima persona. Protagonista della storia è lo zio Clorindo, partito ventenne per la guerra e mai più tornato; mai considerato morto, ma disperso a Cefalonia. Per ragioni anagrafiche, lo scrittore non ha mai conosciuto lo zio Clorindo di persona, ma solo attraverso qualche foto e i racconti della famiglia, soprattutto della nonna che per anni ha aspettato il ritorno dell’amato figlio, guardando ansiosamente fuori dalla finestra. Anni di attesa vana, di preghiere, di foto dello zio escluse dalla ricorenza dei morti, perché guai a dire che Clorindo era morto, era solo disperso.
L’attesa della famiglia di Clorindo era quella di migliaia di famiglie italiane, era quella del ritorno dei dodicimila figli di mamma, mandati a morire su un’isola greca. Il dolore della famiglia di Clorindo è quello di tutte le famiglie che hanno avuto un disperso, che non hanno nemmeno una tomba su cui piangere un figlio, un fratello, uno zio. Lo zio Clorindo, per sempre ventenne, unico nella sua famiglia ad avere quel nome (almeno da quel momento in poi) per un’altra madre, un’altra sorella, un altro padre, sarà Giorgio, Marco, Antonio… Il dolore, però, è lo stesso e la narrazione di Di Michele ce lo fa vivere come se anche noi fossimo in attesa di un Clorindo che non tornerà più. E siamo anche noi su un’isola greca, sotto il fuoco di mitragliatrici dei soldati tedeschi, soffocati dalla polvere, dalle urla, dall’odore del sangue.
Siamo tutti inconsapevoli e impotenti spettatori di una strage terribile, che si poteva evitare.
(di Claudia Bertanza)
(di Claudia Bertanza)
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